Intervista a Enrico Mazzone

Enrico Mazzone mi risponde al telefono da un luogo sul quale si abbattono folate di vento improvvise, come di auto in movimento. Dopo un po’ la conversazione si interrompe e lo sento imprecare, probabilmente a causa di un’auto che stava per investirlo. Ma in un attimo torna calmo e continua a parlarmi come se niente fosse dell’attualità dei dipinti di Hyeronimus Bosch e della replicabile iconicità del segno di Hans Ruedi Giger.

Mazzone è un giovane artista italiano che si è trasferito in Finlandia per compiere l’opera della vita, un’incredibile tela di 97 metri di lunghezza per 4 di altezza, sette volte le Nozze di Cana di Paolo Veronese, quasi quanto la Cappella Sistina. Interamente disegnata a matita. Il suo sorriso marpionico splende come un falò tra i fluenti e foresti capelli neri. Ma al telefono non posso vederlo, quel sorriso, e allora ci diamo appuntamento per una teleintervista visiva per il giorno dopo, nella quale la prima cosa che mi spiega è che ormai da anni porta avanti il suo lavoro artistico in autostrada.

In autostrada?

– Si, ho trovato una borsa di studio con la quale mi viene fornito uno spazio ampio a sufficienza per lavorare alla mia opera. Si tratta di un vecchio casello autostradale, ormai dismesso, che ho riadattato ad atelier. Non ci sono cavalletti spaventapasseri o modelle seminude, niente di così débauche, ma un’unica grande stanza vuota che ospita il rotolo sul quale mi sdraio, sudo e disegno.

Negli angoli, lungo i muri, ammucchio residui di decine di matite, grafite, temperini senza più filo, gomme consunte.

Un capolavoro che richiede molto lavoro.

– Di sicuro qualcosa che richiede molto lavoro. Per il capolavoro decideranno i posteri.

E i contemporanei?

– Qui in Finlandia ho un discreto successo locale, finisco spesso sul giornale, ma non è che navigo nell’oro. Che poi a me più che oro servirebbe la grafite delle migliaia di matite HB che consumo.

Parlami della tua tecnica.

– Uso matite dolci su un enorme foglio di carta, gentilmente donatomi da una cartiera finlandese.Prima avevo già lavorato sui grandi formati (5 metri per 1 metro e mezzo, 20 metri per 2 metri,ecc.) ma di colpo mi sono ritrovato gettato in un enorme spazio bianco, un vuoto materiale dariempire con qualcosa di altrettanto materiale e che tuttavia richiede una fonte spirituale costante.E cosa ci disegni su quattrocento metri quadri di carta?– Su tutto quello spazio non potevo pensare di esprimere solo me stesso. Un individuo nonpoteva bastare. La responsabilità verso tutta quella libertà richiedeva un lavoro che provenisse dallacollettività e che alla collettività ritornasse. Per questo ho iniziato a disegnare la mitologia locale, iluoghi, le persone che li abitano. Certo, tutto viene filtrato dalle lenti del mio sguardo, dopotuttosono io che passo dodici ore al giorno con la matita sdraiato sulla tela. Ma l’idea che l’arte siinscriva in un discorso collettivo, culturale, è quella che permette di riempire lo spazio dell’opera.

Dodici ore al giorno?

– Anche quattordici o sedici, dal lunedì al sabato. La domenica riposo. Ma non credere: si riesce anche a uscire di sera, ogni tanto. Qualche volta cucino. Per la spesa mi organizzo.

Una vocazione.

– Un maledetto impegno! Vorrei anche vivere, oltre a disegnare. Ma devo farlo: l’opera nonriguarda solo me, ma tutti quelli che l’hanno frequentata e che la frequenteranno. Per cui, quandomi prendo dei periodi di pausa, mi documento sulla storia dei posti in cui mi sono trovato a vivere eche ospitano il mio lavoro creativo: il materiale spirituale torna nei luoghi dai quali proviene.

Come hai iniziato?

– Un giorno finlandese, uno di quelli che si vivono qui in questa terra arida e magica, una donnami ha preso per mano e mi ha fatto uscire per le strade di Rauma, la città che mi ospita, portandomidi fronte al monumento di un artista locale, [inserire nome artista]. Questo gruppo statuario si trovaaccanto alla torre dell’acqua, l’acquedotto locale, e si compone di una serie di cigni che volanoattraverso cinque cerchi, cinque ostacoli, per poi diramarsi nel cielo libero. Il senso dell’opera è chenonostante le difficoltà si può arrivare al momento della fruizione, al momento della gioia – almenoquesto è stato il senso che ci ho letto io, quello che è stato rilevante per me. L’esperienza esteticaindotta da questo incontro con l’opera si è riverberata nei primi metri della mia tela, esattamente dalmetro 0 al metro 7, una porzione del mio lavoro connessa al rapporto che al tempo avevo con ladonna che mi aveva introdotto al gruppo statuario. Il tutto si mescola in modo caotico e perfetto alpaesaggio marino di Rauma e a una donna che saluta. Dopo aver disegnato questi primi ventottometri quadri è iniziato il processo creativo vero e proprio, per cui la forma della donna che saluta siè tramutata in quella della Finlandia stessa. Non so se hai mai notato che il Sud della Finlandia pareuna gonna che si apre.